In epoca medioevale l’apocrisario era un ambasciatore inviato dal papa per assolvere a compiti di particolare importanza presso la corte imperiale, o presso la curia pontificia; un ecclesiastico il cui ruolo principale era quello di fungere da mediatore tra la Chiesa e l’Impero. Il sacerdote agisce come Alter Christus in nome della croce perché Gesù Cristo è il “sovrano senza orpelli”, il Crocifisso che ha redento il mondo con innocente silenzio. Oggi, come duemila anni fa, la Chiesa invia i suoi apocrisari per il mondo, a mediare, come una scala posta tra il cielo e la terra, tra la comunità dei credenti – la Chiesa – e il mondo, per proclamare come messaggero di lieto annunzio che la Croce è il vessillo dell’Imperatore discreto e silente, ma realmente vivente e presente nella storia. Senza la Croce il sacerdote non potrebbe offrire il sacrificio a nome del sacerdozio di Cristo; senza la croce il sacerdote non potrebbe porsi al capezzale di un volto che va spegnendosi per rimettere i suoi peccati. Il suo è un canto d’amore sofferto e cercato, uno spasimo che anela al compito affidatogli senza mai saziarsi. Egli è consapevole di essere una molecola generata dal sangue del Figlio di Dio. Il suo annuncio nasce nel sangue e porta la testimonianza della vita. I sacerdoti sono poeti perché attingono la bellezza dei loro versi nell’agone della propria coscienza, in conflitto tra la gioia di essere inviati e la delusione di non essere sempre accettati.