Nel mondo vi sono tante Δία-ferenze. Da dove vengono? La prima, quella che si manifesta già solo guardandoci allo specchio, è che il mondo è Δία-ferito in maschio e femmina. Sarà questa l’espressione fondamentale della natura? Platone ci narra dell’androgino nel suo celebre Convito, un essere ermafrodita (andro- maschio, e gyné, femmina) che esisteva prima che Zeus tagliasse in due gli uomini “come si fa con le sogliole”. Platone non poteva sapere che non si trattava solo di un mito. Ciascuno di noi, prima di venire alla luce, è stato maschio e femmina per almeno 6-7 settimane. Dunque l’originario è l’intero. Infatti l’originario è un in-Δία-ferente, perché tutte le Δία-ferenze vengono dopo, molto dopo. Bisogna attendere il linguaggio, perché solo il linguaggio, nominando le cose, instaura le Δία-ferenze:, “saranno tutti nomi tutte quelle cose che hanno stabilito i mortali, convinti che fossero vere: nascere e perire, essere e non essere, cambiare luogo e mutare luminoso colore” (Parmenide DK 8 38-41). L’intero non ha Δία-ferenze: “Un tempo fui giovinetto e giovinetta, arbusto e uccello, muto pesce di mare che guizza tra i flutti” (Empedocle DK 68B 17). Eraclito sceglie il dio come il massimamente indifferenziato, infatti: “il dio è giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace, sazietà e fame” (DK 67), “L’uomo ritiene giusta una cosa, ingiusta l’altra. Per il dio tutto è bello, buono e giusto” (DK B102). Yaweh nella Bibbia dice di sé: “Sono io che formo la luce e creo le tenebre; che faccio la pace e creo il male. Io sono il Signore, che fa tutte queste cose” (Isaia, 45, 7). Con quest’ultima Δία-ferenza si fa strada il “rospo” più difficile da mandare giù: Dio è l’origine del bene e del male, e con questo le nostre Δία-ferenze si rivelano per quel che sono: patetici stratagemmi di contenimento dell’indifferenziato. Con questo testo l’autore osserva che le religioni tradizionali non sono più quel rifugio rassicurante nel quale coltivare la nostra imperturbabile tranquillità, ma sono quel cascame tragico, sepolto dalla sabbia del tempo, che non ha mai smesso di abitare i nostri sogni e, in modo più inavvertito, anche le veglie. In questo territorio di nessuno dèi e demoni si danno convegno annunciando l’apocalisse dello spirito. I nostri strumenti di contenimento, di giorno così potenti, alla notte cedono il passo all’egemonia del sacro. Non la notte che si approssima dopo il tramonto, ma quella notte che perdura anche alla luce del giorno. Crollate le religioni storiche l’uomo è solo a gestire l’inquietante vicinanza. Se è vero che “Dio è morto”, come vuole Nietzsche, è altrettanto vero che il sacro è invece più vivo che mai. Questa è una dimensione che, proprio per il suo abbandono da parte delle religioni ufficiali, non possiamo che gestire nella più assoluta solitudine. Scavando in questo terreno che precede la maschera delle Δία-ferenze, non troveremo null’altro che quell’indifferenziato da cui ritenevamo di esserci emancipati e a cui, proprio per questo, da tempo non offriamo più sacrifici.
Questo volume ci avverte che è venuto il tempo di prestare attenzione non a ciò che indicano le nostre usurate parole, ma a quel silenzio che, solo, può restituire la parola agli dèi.