Racconti nel tempo e nell’anima
Ventuno racconti, proposti a volo d’aquila, colgono spunti dalle grandi narrazioni dei viventi e li distendono a disegnare la condizione umana. Ciò che accade nei Miti o nella Storia, sia esso certo o fantasioso, individuale o collettivo, reale o utopico, che sia parte del passato o proiezione nel futuro, è sempre una dimensione dell’anima e anche per ciò solo è vero. Ma il primo gradino della scala verso il Cielo è sempre un atto di ribellione. Dagli Angeli rivoltosi della Genesi biblica ai ragazzi di Piazza Tien-an-men, dai Baobab delle leggende d’Africa all’ultima notte di Giordano Bruno, dalle Parche che smettono di tessere il Destino alla caduta della Cortina di Ferro, l’Uomo insegue la propria libertà. E dentro a questa libertà si perde. Cerca se stesso, le proprie ragioni e quelle degli altri, e appena ha imparato un poco a vivere è già quasi giunto il tempo per saper anche morire. Non saranno fede o saggezza a mettere ordine e dare a tutto un senso, ma il coraggio di continuare a pensare con la propria testa dovunque la vita ci conduca. Nella battaglia o nella fuga, nella musica o nella poesia, nel rigore o nella demenza. Nel rumore. Nel ritmo cadenzato. Nel sussurro del vento tra le fronde. Nel silenzio.
Nel suo “Di stelle in cielo, in terra e in mare” Stefano Pantezzi propone ventuno racconti, alcuni brevi e fulminanti, altri più articolati e complessi, tanto da assumere il carattere di brevi romanzi (penso, ad esempio, al racconto “La carpa, la porta e la pace celeste”). Il primo elemento che colpisce, nella scrittura di Pantezzi, è lo stile: un ritmo incalzante, una vertiginosa ricchezza lessicale, una sintassi elaborata che assume, a tratti, lo statuto di poesia: ad esempio, nel frequente uso dell’anastrofe e dell’iperbato. Uno stile che è del tutto funzionale a quanto viene narrato, frutto di una straordinaria vivacità creativa e, a volte, di una distorsione della percezione che porta ad amplificare certi dettagli in ventagli di immagini e di suggestioni. I temi oggetto della narrazione sono i più vari: si parte dalla Genesi, affrontata con ironia e leggerezza, e dai miti greci, come omaggio alla più lontana fonte di ogni nostra narrazione. E poi Pantezzi indossa le vesti di un gigante come Giordano Bruno, così come quelle di uomini e donne qualsiasi, entra nella loro anima e porta alla luce la loro più oscura interiorità, trasferisce i suoi personaggi in una realtà senza luogo e senza tempo, mostra la loro pura umanità che è fatta soprattutto di dolore e di amore. Ciò che trionfa è la visionarietà di una narrazione straniante, sospesa tra realtà e sogno (a volte, anche incubo). Se, per dirla con Jakobson, la letterarietà di un testo è data soprattutto dalla sua valenza estetica, i racconti di Pantezzi si qualificano come esempi di una vera letteratura che sa volare alto, ben al di là del nostro angusto orizzonte montagnoso.