Il Florilegio notturno è un poemetto che desidera rappresentare un viaggio cosmico attraverso le quarantotto Costellazioni antiche, originatesi dai miti classici. Si invita il lettore alla pazienza, o alla curiosità, per cogliere il significato ultimo di quella fantasticheria intrapresa dall’improbabile Argonauta di nome Milo. Ecco allora come i versi liberi, narranti storie d’avventura e libertà, d’atroci guerre, combattimenti e litigi, di turpi intrighi, di sofferenze, dolore e morte, di voluttà e amori appassionati, di veementi gelosie e tradimenti, si trasfigurano in vicende di tempi correnti rinnovando così le domande ultime sul senso della vita. Come se dietro quella pergamena punteggiata e srotolata sopra la volta turchina si celasse “l’arcano anelito del sopito mondo che non già si accontenta e gode del presente, ma in ricerca sempre scava nel profondo, fra una risposta che spesso avverte ma mai afferra”.
L’ordito è pregno d’una nostalgia malinconica verso una natura primordiale e selvatica, ora in gran parte inquinata e quasi definitivamente esiliata, mentre la trama viene intessuta con le lacrime amare della nutrice “sì ricca di doni che l’uom più ascolta né vede”. Tuttavia dalla cupa rassegnazione si desta nell’Argonauta solitario la flebile speranza che tutti i moti dell’anima rivolti all’amore, alla bellezza, allo stupore e alla meraviglia, pur sovente insidiosi e illusori, rimangano impressi “eternamente in ciel a impreziosir lo scrigno”.