Geografia dell’infanzia
Non ho da difendere questo libro così profondamente personale perché è praticamente indifendibile. Alla base dei miei motivi non vi è alcuna intenzione lamentevole né un segreto rifiuto della cultura contadina della mia epoca. Ai contadini non interessavano i motivi di una azione bensì le corrispondenti conseguenze. In famiglia nessuno brillava come indagatore, ognuno badava all’evidenza evitando le spiegazioni. Io stesso sono ridotto così. Non avevo alcun bisogno di scrivere questo romanzo che non tratta un tema né in senso narrativo né come manifestazione della vita di allora. L’idea di elaborare ricordi per catturare il lettore riguarda semmai solo le circostanze superficiali della messa in scena. È un tentativo di svelare la profonda intimità della campagna del Delta Polesano e gli influssi che hanno contribuito a formare la mia esistenza. Per quanto sia stato genuino e fedele ai fatti mi sento, a lavoro compiuto, rimasto addietro, smarrito in un mondo di altri valori. Posso dire di aver realmente provato il bisogno di indagare la mia infanzia, le sensazioni di allora e l’atteggiamento mentale. Il mio modo di sentire deve essersi formato proprio in quel periodo senza rendermene conto. Il Delta del Po enorme si è offerto di sua spontanea volontà. Una terra magica creata da Dio e ricreata dagli uomini, un luogo per nulla indifferente al sorriso e ai rimproveri del cielo, una distesa magnifica divoratrice della luce del sole. Conteneva tutto ciò che serviva per situarvi qualsiasi storia, perfino la mia, una profondità sufficiente per tante passioni, una ricchezza bastevole perfino per la mia messa in scena e tanti soprusi quanti occorrevano a far tribolare Deltani e Polesani. Irresistibilmente quel luogo divenne lo sfondo delle mie visitazioni sperimentali. Varie prospettive senza fine mi si spalancarono davanti. Fortunatamente le figure principali sorsero e crebbero popolando lo sfondo indicandomi la via giusta. Le altre figure, direttamente o meno, confermarono il sospetto che la memoria non sopporti facilmente di essere rivisitata troppo a fondo e tutto il resto ha avvalorato la necessità di farlo per davvero. Non ho avuto dubbi sulla realtà dei fatti, è bastato liberarli dall’oblio in cui erano sommersi e proteggerne la credibilità e lo spirito non tanto dall’elemento psicologico quanto da quello umano. Ho dovuto contrastare i miei ricordi intimi quando hanno minacciato di invadere la scena e sopraffare ogni pagina. Mi sono sentito un Enea in fuga con l’Anchise di sé stesso sulle spalle trascinato per mano dall’Ascanio che ero stato. In un angolo del Delta ho lasciato parlare l’Ascanio credendo di dialogare con l’Enea che non sono più. Si tratta di una serie di dialoghi per andare oltre il rapporto con sé stessi e non per mancanza di rispetto verso le persone coinvolte, perché i ricordi vanno messi in discussione giacché si può pensare ammissibile prospettare una rilettura più ampia, legittimata dal senno di poi, ammesso che sia presente, sempre con grande rispetto per i buoni psichiatri e per gli specialisti dell’anima. Dopo i ciclisti, i pellegrini e i marinai non è rimasto che prendermela con me stesso. Se la quarta dimensione è il tempo la quinta è il mio io interiore e con tutte ho dovuto fare i conti.