Novanta haikai
Che cosa testimonia l’esperienza di ogni giorno se non un continuo impallidire e sfarsi di ogni cosa e di noi stessi? Che le cose finiscano nel nulla ci sembra un’evidenza incontrovertibile e tuttavia sentiamo che l’eternità è il nostro destino, sia che abbiamo la fede nella nostra resurrezione sulle orme del Cristo Risorto, sia che, con Emanuele Severino, comprendiamo come la follia estrema che avvolge la storia dell’Occidente, portata alle sue estreme conseguenze, consista nella persuasione dell’impossibilità di qualcosa di eterno e di immutabile e quindi di ogni qualsivoglia verità definitiva, come Dio, l’anima immortale, la legge naturale. Dunque c’è la possibilità di una rivincita per noi mortali che non sappiamo di esser già salvi. In attesa del verdetto, se mai ci sarà, lasciamo parlare la poesia, fossero anche solo balbettii. Se è vero che «le poesie sono la vita che se ne va, l’accadimento impossibile, l’errore e l’attimo, la catena e il volo, l’insaziabilità del desiderio, il filo diretto con la morte» (Giovanni Duca), allora ci sazieremo dell’Attesa prima di imboccare la curva che ci rende invisibili a chi ci sopravvive, come scrive Fernando Pessoa. Di noi rimarrà l’amore dato e ricevuto, il bene che abbiamo compiuto e anche quello che abbiamo solo inseguito.