Un percorso “nello scavo/del sommerso” per definire un segmento di maturazione interiore, per fotografare e mettere in luce gli attimi più significativi della vita “ch’è una e non ritorna” se non alla moviola, per analizzare e ricordare a se stessi l’essenza dell’immanente e svolgere, tramite la poesia, una matassa apparentemente indistricabile di emozioni, che – altrimenti – rimanendo prigioniere dell’intimo e quindi inespresse, porterebbero a patire un senso di impotenza, l’essere “come cenere all’aria”.
La poesia, benché filtro del pensiero tale da alterare già di per sé la struttura dello stesso e da rendere comunque mediato al lettore qualsiasi concetto, è quindi strumento imprescindibile e accessorio inseparabile di quelle “notti di incanto”, quando “Il sonno sembra quasi/offendere” un nuovo germoglio di sensazione e scrivere diventa l’unico rimedio per non offuscare il rinnovato bisogno di raccoglierne i frutti, portandoli, appunto, a maturazione. Per quanto effimeri, fugaci, circoscritti a una percezione, limitati a una labile frazione dell’esistenza, “piccoli”, queste istantanee rappresentazioni del vivere, “istanti”, rimarranno impressi, indelebili, mai sepolti dalla polvere dell’oblio, anzi a più riprese richiamati al presente dell’interminabile evolversi e perciò “indimenticati”.
Un circuito di comparazione di esperienze dell’anima sicuramente troppo autobiografico per avere la presunzione di costituire insegnamento, ma che in ogni caso è dettato dall’esigenza di “gridare/che non sono un angelo” come a voler suggerire che non si può e non si deve fuggire davanti ai propri errori e che tuttavia si è capaci di tratteggiare i sentimenti più nobili con la coerenza di abbracciare anche le scelte più difficili del proprio percorso interiore, con l’ausilio di tutte le risorse positive di cui si dispone, dei valori morali che pervengono dalle passate esperienze, da una sana dose di autocritica e di “carte, inchiostro e cuor dolente”.