Il presente studio ha per oggetto due manoscritti inediti risalenti al 1783 e al 1785, custoditi attualmente nell’archivio curiale di Subiaco. Si tratta dei verbali di due processi per stupro celebrati presso il tribunale ecclesiastico di Subiaco. L’ottimo stato di conservazione dei fascicoli ha permesso di ricostruire con precisione le singole fasi processuali. Dall’esame comparato dei carteggi emerge un elemento di notevole rilievo: i giudici dei due processi seguono un percorso identico che, partendo dalla querela della parte offesa, li conduce alla decisione finale. Nonostante le tecniche confuse e spesso improvvisate che contraddistinguevano all’epoca l’attività dei tribunali dello Stato Pontificio, esistevano comunque delle norme procedurali, che si erano affermate certo più per consuetudine che non per via di un’opera di codificazione razionale. Le pagine dei verbali rappresentano un vibrante affresco della cultura rurale di fine Settecento. La particolarità di questi procedimenti è comunque legata all’applicazione, in uno di essi, della “tortura sulla vittima-accusatrice”. Quest’istituto aberrante, che non trova riscontri nelle coeve prassi giudiziarie al di fuori dei confini dello Stato Ecclesiastico, era utilizzato invece dai tribunali pontifici, con una certa frequenza, già da qualche tempo, come mostra la vicenda di Artemisia Gentileschi risalente al 1612.