La speranza, quale mediatrice tra i desideri e la realtà pratica ed esistenziale, è fra i sentimenti più ricorrenti dell’uomo. Chi è che non l’ha mai invocata? In essa si è sempre cercato quel sostegno indispensabile per realizzare un progetto o un sogno. Solo in una mente offuscata, la speranza potrebbe vanificarsi. Particolarmente, nel momento che precede l’ultimo istante di vita, quando l’esistenza si presentasse irreversibilmente fragile, vacillante o comunque incapace all’invocazione. Subito dopo ne conseguirebbe lo spegnimento di quell’essere che non potrebbe più essere. Quindi, ci sarebbe la fine di tutto: sogni e realtà. Si realizzerebbe così l’antico aforisma: “Finché c’è vita c’è speranza”. Ma se si avesse la forza di capovolgere questo aforisma nel suo esatto inverso: “Finché c’è speranza c’è vita”, si ricupererebbe un assioma da dove poter ripartire per rimettersi in gioco. È su questo principio che verte questa storia. Un giovane combattente della Grande Guerra (1915-18), viene più volte ferito e più volte rinviato al fronte. L’ultima volta, a pochi giorni dalla fine delle ostilità, ferito in modo grave, il destino gli produce, dopo quattro anni di fronte, una condanna di sette anni di degenza ospedaliera, rimanendo, quindi, complessivamente ben undici anni lontano dagli affetti più cari. Riesce a superare le terribili circostanze solo con la speranza di realizzare il suo sogno d’amore sposando la sua ragazza che lo ha atteso e lo ha sostenuto per tutto il tempo delle sue sofferenze e della sua assenza…
