Sulle testate del network di Leccoonline, Merateonline e Casateonline Stefano Motta, autore del romanzo Di vento forte, rilegge in chiave quasi leopardiana i fatti di Vaia:
Il ventinove ottobre di due anni fa un vento con raffiche fino a 200 chilometri orari ha abbattuto in poche ore più di otto milioni di metri cubi di alberi in tutto il nord-est, dai lembi più orientali della Lombardia fino al Friuli.
Si è accanito soprattutto sugli abeti e i larici delle mie Dolomiti, della mia Val di Fassa, sui tronchi fieri delle foreste che la Repubblica Veneta coltivava per farne i pali per le fondamenta di Venezia e assi per le galee che dominavano il Mediterraneo, e che Stradivari in persona sceglieva, per farne strumenti immortali.
Ogni numero di quella sciagura è approssimativo, perché il vento correva così veloce che ha divelto gli anemometri, tarati sui duecento all’ora. Vuol dire che correva di più. E anche gli alberi, contati a metri cubi, come se fossero una massa, non singole vite importanti ad una ad una.
Di tutti i luoghi violentati dal vento il lago di Carezza è quello che più mi strazia. Un tempo per scorgerlo dovevi corteggiarlo, lasciare l’auto, inoltrarti a piedi oltre la fascia di alberi che lo cingeva e poi rimanevi a bocca aperta. Era un’esperienza intima, e mistica. Ora lo vedi già molti chilometri prima, dai tornanti che scendono dal Passo di Costalunga, messo a nudo ed esposto impudicamente alla vista.
Eppure passeggiando per i miei boschi io la sento la vita che ancora freme sotto quei legni, e le sapienti mani delle genti di montagna che la assecondano e la incoraggiano, potenti loro perché figli rispettosi di una Natura così tanto più potente di noi da poterci scalzare con un colpo di vento, e da saperci custodire come una madre taciturna ma buona.
Se i due leoni non se lo fossero mangiato, come racconta Leopardi, e l’Islandese delle sue “Operette morali” potesse ancora interrogare la Natura, so che glielo chiederebbe: “O natura, o natura […] perché di tanto inganni i figli tuoi? Perché mandi vento e virus, e solitudini e paure?”.
“Madre di parto e di voler matrigna”, la definisce nella “Ginestra”. E questi mesi in cui ci sentiamo così piccoli di fronti a un virus che si prende gioco di noi, così rabbiosi di fronte a governanti che fanno ancor peggio del virus, e ad affetti che cadono, persone prima fiere e forti come gli abeti possenti delle Dolomiti e un attimo dopo divelti e schiantati a terra, questi mesi ci interrogano.
Non sono uno di quelli che va in giro ad abbracciare gli alberi (anche perché la resina poi mi sporca la giacca Montura che costa una fucilata), ma passeggiando per i boschi brutalizzati delle mie montagne ho avuto due anni fa il dono di una storia, che poi è divenuta un romanzo di buon successo. E ho sentito nel silenzio dei boschi la vita che non si arrendeva.
E vorrei dire che non dobbiamo aspettare la fine della tempesta per avere quiete, ma possiamo esigerla e crearla anche ora. Se riusciamo a stare in silenzio, a spegnere per un po’ le televisioni e i social media, a staccare il telefono, a non farci schiacciare ancora di più dalla mole di notizie e dall’angoscia di socialità, ad avere il coraggio di stare da soli, e in silenzio, la V di Vita suona più forte del Vento che ha offeso le foreste e del Virus che attenta alla nostra salute e alla nostra felicità.