Stralcio dell'intervista con gli studenti, guidati dalla professoressa Paola Bucciarelli e l’autore
(Intervistatore) Buonasera! Stamattina abbiamo ripreso in classe il dibattito sul suo libro e, le giro le domande che i ragazzi avevano pensato di farle. È stata per noi una bella opportunità e, ora, con più calma, affiderò un lavoro di analisi da fare ad altri alunni, che per motivi di tempo, non sono riusciti a partecipare attivamente. Grazie ancora di tutto! Personalmente mi ha fatto appassionare ad un genere che non è propriamente il mio preferito. Ha un modo di scrivere molto coinvolgente e, anche il fatto del doppio piano temporale, rende tutto più intrigante. Ad maiora!
(Autore) Le rinnovo i complimenti per il lavoro svolto. Le idee che emergono dai giovani superano spesso l’immaginazione. Mi ha piacevolmente sorpreso leggere nel vostro trailer spunti nuovi, ed emozioni intense. A differenza di alcune pubblicazioni scientifiche questo racconto l’ho scritto con il cuore, lasciandomi guidare dall’ inconscio e smussando il tutto alla fine, consapevole comunque di una responsabilità educativa.
(Intervistatore) Sappiamo che questo non è il suo primo romanzo fantascientifico scritto. Come mai ha scelto questo genere?
(Autore) Fin da piccolo ho amato il genere fantastico. Da “scrittore” l’ho trovato anche rilassante, evasivo rispetto ai problemi concreti quotidiani, un’occasione per staccarsi dalla sofferenza tracciando un proprio percorso e non semplicemente seguendo quello scritto da altri.
(Intervistatore) A chi o cosa deve il suo amore per la scrittura?
(Autore) Penso che all’inizio quando scrivevo qualcosa (a scuola) per lo più divertiva chi mi stava vicino, ero bravo in quello piuttosto che a giocare al pallone. Cercavo in qualche modo di comunicare idee sotto forma di storie, che mi sembravano più digeribili. Poi ho studiato psicoterapia, ipnosi e si è aggiunta la possibilità di usare la parola per aiutare altre persone. Ma in primis è il piacere di costruire qualcosa che ti sembra bello, realizzare un film che hai nella testa e viverlo mentre lo realizzi.
(Intervistatore) Da cosa ha tratto ispirazione per la stesura di questo romanzo, e in particolare per l’invenzione del pianeta di Zeda?
(Autore) Quando ho scritto la prima parte del sole nero, avevo inserito una lunga introduzione che poi ho cancellato totalmente. Riportavo i pensieri che mi avevano spinto verso questo racconto particolare: in due parole: ingiustizia, violenza. Ero anche abbastanza arrabbiato per questo ho aspettato a lungo prima di questa ultima stesura. Ho atteso che il giudizio cedesse il posto alla speranza e all’amore.
(Intervistatore) Ci ha colpito molto il parallelismo del ragnetto, cosa intendeva comunicare?
(Autore) È una cornice, di per se non è molto importante, però ciò che contiene può esserlo. Inoltre una cornice ci dice chiaramente che al suo interno non c’è la realtà (non è una finestra) ma una rappresentazione della stessa.
Il suo uso in questo caso è un po’ particolare, uno scrupolo personale (secondo il motto primo non nuocere). C’è qualche passaggio – immagine mentale – che ho ritenuto potenzialmente destabilizzante per alcune personalità fragili, in particolare quelle borderline (disturbi dissociativi dell’affettività, anoressia mentale …) e desideravo proteggerle.
Metaforicamente è come stare vicino a un bambino quando c’è un temporale, per non farlo spaventare o contenere la sua paura.
(Intervistatore) Se potesse paragonare il pianeta di Zeda ad un posto reale, quale sarebbe?
(Autore) Sapete che non ci ho pensato, voi però sì, all’inizio del trailer lo avete localizzato perfettamente: l’epicentro dell’esplosione!
(Intervistatore) Perché il nonno è l’unico adulto a conoscenza del pianeta di Zeda e dei suoi segreti?
(Autore) Non ho pensato che il nonno (depositario della conoscenza) dovesse sapere realmente di Zeda ma nemmeno che bluffasse, piuttosto conosce e ama i nipoti. Se notate le risposte sono generiche, aperte, un po’ come quelle che danno i maghi, i cartomanti, solo che loro lo fanno in cattiva fede per un interesse personale. Sfruttano l’ambiguità della nostra lingua per lasciare che l’interessato su un’onda emotiva attribuisca pertinenza ad affermazioni generiche. Il nonno non dice cose impossibili sono i ragazzi che completano con la loro immaginazione quello a cui il nonno allude.
(Intervistatore) La scelta di lasciare in sospeso la conclusione è finalizzata ad un’eventuale continuazione?
(Autore) Il racconto è già nato a tappe, una prima parte l’avevo auto pubblicata, per vedere il risultato complessivo e farla leggere a qualche amico. Ebbe però una inaspettata accoglienza ed ho avuto sollecitazioni insistenti per continuare. Mi lasciai ispirare e a distanza di oltre un anno, completai la storia con la seconda parte.
Penso però che ogni storia abbia un inizio e debba avere anche una fine, per evitare di trasformarsi in una telenovela senza anima. Il finale aperto è ispirato alla nostra vita, ancor più la vita di un giovane che si affaccia a tante opportunità. Un futuro aperto, tutto da disegnare e colorare con la propria immaginazione. Poi un po’ di malinconia quando lasci dei personaggi a cui ti sei affezionato effettivamente c’è.
(Intervistatore) Nel libro è presente un test di autovalutazione, a quali tipi di personalità è maggiormente indirizzato questo racconto?
(Autore) Il test posto alla fine del racconto era pensato inizialmente come un sigillo o un indovinello per accedere ad un regno mitologico di epica memoria. Nella revisione finale l’ho posto dopo il racconto “più nascosto “ per non dare troppe indicazioni e lasciare in primo piano la storia.
In sintesi le risposte riportate rappresentano altrettante modalità di eludere le domande che la vita ci pone, fino al deterioramento completo del senso di realtà (come dei valori).
È vero che la soluzione del test non si trova sul libro: si trova dentro di noi attraverso l’accettazione della realtà e il rifiuto della menzogna. Il tipo dì personalità che potrebbe apprezzare il racconto (ovviamente secondo un parere personale) è quella di una persona libera.
Nel merito la risposta: “è un chiodo piegato” va bene, ma una ragazza potrebbe trovarne una più giusta: è un braccialetto.
(Intervistatore) Si sente più affine al personaggio di Lilli o di Marco?
(Autore) Al contrario dei primi racconti fantastici scritti un po’ di anni fa, non mi sono immedesimato troppo nei personaggi, li ho vissuti più in terza persona. C’è qualche affinità con Marco: mi piacciono le patatine fritte e con Lilli adulta: amerei una casa al mare, sul mare dove scrivere in libertà senza l’orologio e altri pensieri.
Un’affinità psicologica farei fatica a trovarla in entrambi i casi, poi Lilli adulta è indecifrabile, eterea, anche la sua fine non è di fatto la fine, è più una trasformazione per quanto impossibile.
(Intervistatore) Attualmente si sta dedicando alla scrittura di nuovi libri?
(Autore) Mi piacerebbe … ma devo lavorare e con tre ore di viaggio al giorno torno piuttosto stanco, ci sono i ragazzi, le vicissitudini quotidiane beh, un po’ come per tutti. Qualche anno fa facevo dei turni in un ospedale più vicino ed era più semplice ricavare delle mezze giornate, poi riuscivo a scrivere di notte con più facilità.