Eleonora Aleotti, Cronache dalla sala d’aspetto, Edizioni del Faro 2022.
Lettura di Cristina Polli
Una sola chiave
ricostruisce in variazione il saggio poeta
senza smettere di cantare:
Amare e ancora amare. (p. 25)
Inattuale: è questo, a mio parere, un termine chiave, se non il termine chiave, che permette l’accesso alla poesia di Eleonora Aleotti, ai territori esplorati in questa sua prima silloge, Cronache dalla sala d’aspetto. Eleonora Aleotti va controcorrente e non solo nello stile della sua poesia: nella sua inattualità feconda ripercorre le strade, si volta indietro, dà luce e colore al particolare che era rimasto in ombra; stabilisce connessioni; ritrova sé stessa sapendo quanto sia perennemente presente il rischio di perdersi e quanto affascinante l’alchimia dell’attenzione puntuale che trasforma e rigenera aprendo microcosmi di mutamenti caleidoscopici.
A esergo della raccolta è collocato l’estratto di una poesia di Wislawa Szymborska, Preambolo, un esplicito richiamo a un modo di essere nel mondo e l’acuta, sensibile, percezione del miracolo della precisa armonia con cui tutto è regolato fino all’anima intrinseca degli oggetti. Ma appare nei versi conclusivi la dissonanza dell’interrogazione che l’essere umano rivolge a sé stesso mentre nota “E qualunque cosa io faccia,/ si muterà per sempre in ciò che ho fatto”, la questione cioè se l’azione, compiuta dall’uomo nella sua caducità e finitezza, sia degna di tanta armonia. L’etica dell’attenzione e dello stupore suscitato soprattutto dal piccolo, e sempre presente, passa come testimone da qui ai versi della silloge (pp. 29 e 30):
Come la bellezza inaspettata della coda
sorprende il pavone che (distratto) la dispiega,
così trovo tracce di scintille di bellezza smarrite
nel tempo
nel dubbio
nel fango;
intercettando una luce
che riemerge furtiva
dai tratti del mio volto
da sgrossare;
mi coglie in contropiede il riflesso del mio sguardo
limpido,
ammorbidito
dallo scorrere di un suono che,
profondo,
si libra
e galleggia
lontano.
L’esplorazione è qui atto mistico di immersione in una realtà trasfigurata nei mutamenti continui del sentire che allaccia tra loro associazioni e sinestesie. Da questa realtà si astraggono risonanze e vibrazioni perché siano restituite attraverso la presenza, la maestria dell’esserci e del sentire, l’ascolto esercitato, aperto a mille voci, devoto alla ricerca di una consonanza, un mutuo assorbimento tra essere e mondo. È una poesia che chiede e manifesta tangibilità, segna volute complesse che talora incorniciano la scena rappresentata, talora servono a evidenziare il chiaroscuro plastico dell’io poetico che attraversa la scena. Leggiamo alcuni estratti (p. 33):
Lentamente imparo da capo
a schiudere, giuntura
per giuntura, il corpo troppo abituato
a frenare la danza:
apro le orecchie
dimentiche dell’ascolto
del palpito del cuore profondo -
sa come battere all’unisono
con te e con il mondo -
Ascolto: fruscia il pensiero
a tratti
veloce e quieto,
sono foglie verdi e oro
le note
luccicanti nel vento.
Tutto è consistente, le percezioni sono piene, acute, e sono la via per una intelligenza che avvolge gli oggetti come i pensieri e le domande. La poetessa conosce la lezione del modernismo, lo leggiamo in Orizzonti (p. 19), ma capovolge la dispersione vertiginosa dei frammenti, lo spaesamento di cui siamo nuovamente testimoni in questi anni ingoiati dalla pandemia, nel desiderio di non stabilire una direzione a priori, nel proposito di essere vigile e accogliente, di misurarsi continuamente con l’aperta disponibilità a una cura che è sì balsamo, ma sa di dover fare costantemente i conti con la sofferenza: Eleonora Aleotti non è preda, o creatrice, dello spaesamento che in questi ultimi anni ha creato scollamenti e distanze e corroso intelligenze e sentimenti poiché sono mutate le condizioni delle percezioni; è lei stessa, invece, espressione del movimento circolare senza sosta, colei che sa di essere inevitabilmente ai bordi dell’abisso, colei che rischia e salva e, come vedremo, appronta la via della conoscenza nella doppia direzione, interna ed esterna, ripercorrendo le strade complesse, talora tortuose, delle esperienze.
Orizzonti
Infranta la certezza della parola,
rimasero frammenti come foglie nel vento dell’etere;
e a volte il canto, imprescindibile cavo di trasmissione
fra il corpo e il nulla. Il canto, inseguito
con dolce arrendevolezza e aspra fermezza, bussola
d’amore e oro per navigare senza meta.
Nel timore di aspirare a una meta, aspre le prigioni
del non divenire, catene e dolorosi legacci
lasciati a marcire sui polsi: nell’incertezza
del rinascere di pelle nuova. Pelle morta indurita,
segnata, marrone e violetta di incuria.
Ma dà più dolore sperare di riuscire
a prendersi cura, con creme e oli essenziali,
di una tenerezza color pesca.
Oracolari tendenze pompose inciampavano
come torri di babele.
Rifluiscono magmatiche parole a delineare l’orizzonte
di sguardi concilianti, di caldi pensieri vicini.
Nessuna scala di priorità esiste in questa poesia tra il campo e la figura: la molteplicità di livelli che si evidenzia è frutto della rielaborazione meditata di un’espressione lussureggiante che lascia emergere nel lavoro di ricerca continua, legami che intrecciano ambiente, oggetti, persone all’io poetico in un dialogo continuo reso in parole e ricordi di gesti ed eventi con aspra consapevolezza delle ruvide incertezze, chiusure e lacerazioni sedimentate nel nucleo più profondo dell’essere, che ora vengono individuate come punto di partenza per nuovi percorsi e per un più maturo riconoscimento del sé (p. 54):
Abito lo spazio da ospite
vivo riconoscendo segreti
non impugno i miei artigli
ricado in abissi solitari.
…
celo alla mia vista
strade libere
le regalo ai passanti lasciandomi indietro
pretesa impossibile così
essere libera di vivere anche io.
La poetessa ha piena coscienza di quanto i prodotti della temperie culturale e sociale in cui viviamo siano banalmente riducibili a citazioni che ne mutano il senso: Una cicala canta tanto forte da far cadere in pezzi l’estate,/ scampoli claudicanti di citazioni ribaltate e, in Agosto violetto (p. 38) da cui i versi sono tratti, si lancia in un gioco condotto con tenera ironia per intrecciare allusioni a testi, racconti e film, a ricordi e sensazioni del proprio vissuto. Il gioco non è semplice, bisogna accettare complicazioni e momenti di sconforto, ma tutto prelude a una scelta che è d’amore e di libertà attraverso la conoscenza delle storie:
lontano il ricordo di un tramonto disperso
sprecato nell’attesa di un nuovo domani
con una piroetta alzo in alto le mani
verso il soffitto dipinto di nuvole,
decorazioni del cielo,
battaglie frivole tra correnti
di luce e d’aria, storie e racconti per recuperare
la libertà
che respiriamo in singoli momenti
assolutamente perfetti.
Spezzare catene, rinchiudere i sospetti
e abbandonarsi al vento:
momenti violetti.
L’attitudine alla scelta si riversa poi nella profondità di una coscienza vigile e critica per riemergere in questi versi limpidi estratti da Ridondanze (p. 70) che racchiudono in nuce un manifesto poetico:
Io, più normale,
intreccio brandelli
di possibile
raccolti per strada
impasti di sguardi stracci
raccolti da occhio
di cangiante taglio
alto, medio, bassissimo
profilo, coloro il mio pane
quotidiano di allenamento
a regolare respiro
e all’ascolto - e giunge parola.
Roma, 19 agosto 2022
Cristina Polli